Nel 2025
Si elegge ancora un uomo, a rappresentare una divinità che da secoli si fa portavoce del patriarcato.
Si celebra la spiritualità, ma si perpetua un sistema gerarchico, maschile, escludente.
Si parla di amore universale, ma si definiscono i corpi degni e indegni.
Si predica la pace, ma si benedicono solo certi amori, solo certi ruoli, solo certi silenzi.
È anacronistico.
È un paradosso che resiste per abitudine, non per necessità.
Nel tempo dell’informazione, si ripete il rito della delega spirituale a una figura che pretende di parlare a nome di tutti, ma rappresenta pochi.
Sempre gli stessi.
Sempre gli esclusivi.
Questa non è fede.
È una nostalgia strutturata.
Un bisogno di autorità che si traveste da sacro per non morire.
Intanto il mondo si trasforma.
Le coscienze si frammentano, si evolvono, si liberano.
Non c’è più spazio per troni invisibili e giudizi eterni.
Moriremo, sì.
E torneremo molecola, vento, radice.
Non ci sarà alcun giudizio universale.
Solo trasformazione.
E forse, finalmente, giustizia.
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